Quando si parla di pari opportunità e lotta al patriarcato si presuppone l’esistenza di una società in cui gli svantaggi delle donne sono evidenti davanti ai nostri occhi.
Come mai, negli ultimi anni, si è sentita la necessità di concentrare l’attenzione sulle pari opportunità tra uomini e donne e ci si è focalizzati sulla cosiddetta lotta al patriarcato? Questa movimentazione sociale, in realtà, affonda le sue radici nel femminismo, nato alla fine dell’800 per sensibilizzare l’opinione pubblica non solo sulla condizione delle donne ma, all’epoca, anche sullo schiavismo.
Ad oggi il movimento si è ampliato a tematiche culturali del più disparato genere (ad esempio il movimento no bra), che spesso hanno come focus il raggiungimento delle pari opportunità tra uomini e donne, soprattutto in ambito lavorativo. E per quanto ad alcuni possa sembrare scontato il concetto di parità di genere, sono ancora molte le evidenze di quanto la realtà dei fatti sia ben diversa da quanto sarebbe auspicabile.
A confermarlo ci ha pensato uno studio pubblicato sulla rivista Personnel Review e incentrato sulla tendenza culturale a criticare a prescindere le donne, instillando in loro dubbi che possono risultare disabilitanti e inficiare il raggiungimento di obiettivi e posizioni di rilievo. Eppure questo clima di iper-critica è ciò che, in molti casi, ha spronato le donne a migliorare. In altri termini, come hanno spiegato le autrici dello studio Amber Stephenson, Leanne Dzubinski e Amy Diehl, “le donne sono criticate così spesso e su così tante cose che sono culturalmente preparate a ricevere commenti denigratori, a prenderli sul serio e a impegnarsi per migliorare“.
Per effettuare lo studio, le ricercatrici hanno condotto analisi quali-quantitative su un campione di 913 donne che ricoprono posizioni di rilievo. Le scienziate hanno poi preso in considerazione numerosi parametri, tra questi “l’età, la razza, l’attrattività, l’abilità fisica, lo stato civile, la maternità o l’assenza di figli, lo stile di comunicazione, il peso, le preferenze politiche e l’orientamento sessuale“. A ben vedere si tratta di elementi che non dovrebbero costituire un ostacolo all’avanzamento di carriera delle donne, ma la verità è ben diversa.
L’età, per esempio, è un fattore determinante per l’assunzione delle donne: quelle troppo giovani sono ritenute ancora inesperte, eppure a parità di età anagrafica, un uomo può ottenere quella stessa posizione professionale senza problemi. Un’altra riprova degli svantaggi delle donne nel mondo del lavoro è data dalla disparità salariale, spesso messa in luce anche da celebrity hollywoodiane che recriminavano compensi più bassi rispetto ai loro colleghi uomini.
Tra gli elementi più preoccupanti, inoltre, non si può non annoverare il perpetrare di pregiudizi e misoginia da parte delle donne stesse: in molti casi quelle che ricoprono posizioni di rilievo si comportano in maniera scorretta nei confronti di altre donne e risultano affette dalla cosiddetta sindrome dell’ape regina. Secondo alcune ricerche effettuate in Olanda, ciò sarebbe dovuto a due fattori: uno è una predisposizione genetica a provare ostilità, che risulta maggiore nelle donne; l’altro è la tendenza inconscia a replicare lo stesso atteggiamento di bullismo subito nei confronti di altre donne.
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