La ricerca sul Parkinson sta facendo grandi passi avanti: l’Università di Copenaghen ha scoperto una delle cause scatenanti della malattia.
La malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa descritta per la prima volta da James Parkinson nel 1817. Si tratta della seconda neuropatologia degenerativa più diffusa dopo l’Alzheimer e affligge all’incirca 300mila persone soltanto in Italia. Tale numero è destinato ad aumentare, tanto che si stima che nei prossimi 15 anni le nuove diagnosi potrebbero attestarsi sulle 6mila l’anno, anche su pazienti in età lavorativa. E in effetti le cause del Parkinson sono tanto numerose quanto, fondamentalmente, occulte. Secondo alcuni all’insorgenza della malattia concorrono fattori genetici e fattori ambientali, questi ultimi soprattutto relativamente ai casi sporadici.
Casi di Parkinson sporadici: una causa potrebbe essere il danneggiamento dei mitocondri
I casi sporadici sono infatti quelli che rimangono più difficili da spiegare e contestualizzare, tanto che la ricerca, ad oggi, si concentra soprattutto su questi ultimi. Una interessante novità è stata dunque scoperta da un gruppo di ricercatori dell’Università di Copenaghen, capitanati da Shohreh Issazadeh-Navikas. In uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Molecular Psychiatry i ricercatori hanno messo in evidenza la possibile correlazione tra mitocondri e Parkinson.
Nello specifico i mitocondri sono strutture cellulari che forniscono energia alla cellula e danno sede al DNA mitocondriale. Stando alla ricerca le alterazioni dei mitocondri potrebbero diffondere materiale genetico alterato e causare una sorta di innesco per la malattia di Parkinson. Nel tentativo di eliminare le cellule alterate, infatti, i mitocondri le espellerebbero. Queste ultime andrebbero poi a intossicare anche le cellule cerebrali, diffondendosi nel cervello.
Terapie specifiche: si fanno passi avanti grazie alla ricerca
Ma perché questa scoperta è così importante? Conoscere la causa specifica di una condizione patologica, ovviamente, aiuta a sviluppare azioni terapeutiche specifiche per la suddetta. In questo caso si potrebbe andare ad agire ripristinando la normale funzione dei mitocondri e, qualora il DNA danneggiato libero fosse reperibile anche nel sangue, esso potrebbe diventare un importante biomarcatore. In altre parole si potrebbe usare questa presenza per diagnosticare precocemente il Parkinson, agendo con terapie specifiche il prima possibile.